CHIAREZZA SUI TERMINI: RISPOSTA AL SOTTOSEGRETARIO EUGENIA ROCCELLA

Il sottosegretario Roccella, in una lettera pubblicata su “Il Foglio” del 17 novembre scorso, ha disquisito sul programma televisivo “Vieni via con me” di Fabio Fazio e Roberto Saviano. In particolare ha criticato lo scrittore campano per aver “nascosto”, durante il racconto sulla vicenda di Piergiorgio Welby, la parola “EUTANASIA”.

Il Dr. Amato De Monte (Direttore Dipartimento Anestesia e Rianimazione Az. Ospedaliero-Universitaria S. M. Misericordia di Udine. Capo Equipe di assistenza al fine vita di Eluana Englaro )
il Dr. Sergio Bartolommei (Dipartimento di Filosofia – Univ. Di Pisa)
la Dr.ssa Seila Bernacchi (Segretaria della Consulta di Bioetica)
e Cinzia Gori (Coordinatrice Infermieristica Equipe di assistenza al fine vita di Eluana Englaro)

hanno inviato una lettera di sostegno a Roberto Saviano con alcune fondamentali precisazioni sul tema. Di seguito si riporta integralmente tale lettera:

“Anni fa The Economist definì Berlusconi “inadatto” a governare. Ci risulta che nessuno in questi anni abbia pronunciato lo stesso verdetto a proposito del sottosegretario alla salute Eugenia Roccella. Pensiamo sia giunto il momento di farlo. Dopo due e più anni passati a mettere i bastoni tra le ruote alla libertà di scelta in fatto di riproduzione, cura, morte e malattia (se ne ricorderà il ruolo di fervente vandeana nel caso Englaro), la signora Sottosegretario, da ultimo, ha ‘bacchettato’ Roberto Saviano. Questi, nel commentare il caso Welby, non avrebbe a suo dire usato la parola-chiave per decifrare il caso stesso: eutanasia.
L’accusa rivela una grave approssimazione intellettuale. Il caso Welby è un “caso-scuola” di rifiuto delle cure, che nulla ha a che fare con l’eutanasia – su cui peraltro gli scriventi auspicano che decada al più presto dal dibattito pubblico la tabuizzazione dominante e si affermi una legislazione che adegui l’Italia alle normative di altri e più civili Paesi europei.
Ciò che è accaduto nel caso Welby è che un medico ha sospeso il trattamento (la ventilazione artificiale) che teneva in vita il paziente su richiesta ripetuta e cosciente dell’interessato. Welby è morto perché, cessata la ventilazione surrogata, la malattia ha ripreso il suo fatale e irreversibile corso. Niente a che fare con l’eutanasia in virtù della quale il paziente muore a causa di una iniezione letale o di altra soluzione che può anticipare la morte naturale anche di un tempo significativo e in modo indolore, a differenza di quanto potrebbe purtroppo accadere col mero rifiuto delle cure (è stato il caso di Giovanni Nuvòli, morto tra inutili tormenti…)
Si faccia mente locale. Se dichiaro di non volermi più nutrire, non è plausibile dire che, morendo di denutrizione, chi mi somministra il cibo compia su di me un atto eutanasico se ne sospende la somministrazione. Semplicemente accoglie doverosamente la mia richiesta di non essere obbligato a ricevere quello che non voglio; sarebbe al contrario immorale costringermi a fare ciò che non desidero. Allo stesso modo, se il medico curante, aderendo alla mia richiesta, cessa di prescrivere gli antibiotici necessari alla mia sopravvivenza, non ha senso dire che abbia eseguito un’eutanasia. Ha semplicemente rispettato la mia volontà di non essere curato, evitando di essere biasimato e condannato per avermi costretto a fare il contrario di ciò che voglio.
L’esito della sospensione o del non avvio del trattamento è indubbiamente la morte del paziente, come nell’eutanasia. Ma una cosa è dire che tale esito è il prodotto di un intervento attuato con un farmaco o uno strumento mirati all’interruzione indolore e immediata della vita, altra cosa è dire che la fine della vita conseguirà in un tempo più o meno lungo e in modo più o meno doloroso dalla sospensione delle terapie e dal decorso di una patologia.
Parlare dunque nel caso di Welby di “accanimento terapeutico” a proposito del mantenimento forzoso in vita del paziente è del tutto pertinente, contrariamente a quanto sostenuto dal Sottosegretario. Il fatto che in Italia il governo consideri indisponibile la sospensione dei sostegni vitali artificiali e che anche su iniziativa della sig.ra Roccella abbia scatenato furibondi e irresponsabili conflitti istituzionali all’epoca del caso Englaro, non depone affatto contro l’idea che essere sostenuti contro la proprio volontà è assai più simile alla tortura (altro che accanimento!!) che all’assistenza.
E’ dunque ragionevole dubitare della competenza, della onestà intellettuale o di entrambe queste qualità del Sottosegretario. C’è da supporre che l’attacco a Saviano dipenda solo dai fumi dell’ideologia che la spingono a far uso di un termine (eutanasia) come di un corpo contundente per negare l’esercizio della libertà di scelta alla fine della vita.
Non resta che auspicare che nel prossimo Dicastero la scelta di questa figura istituzionale sia fatta con molta più oculatezza e lungimiranza di quella usata nel caso in parola.”

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